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Usa: nei campus della Georgia con le armi, se nascoste

Mia intervista per Radio Vaticana (di Francesca Sabatinelli)

Dal prossimo primo luglio anche nelle università dello Stato americano della Georgia si potrà girare armati. Lo stabilisce il provvedimento firmato ieri dal governatore repubblicano Nathan Deal, che autorizza l’ingresso nei campus con pistole o altre armi da fuoco, purché tenute nascoste e purché lontane da aree ritenute sensibili. Proteste contro il provvedimento sono state mosse dai vertici delle università, ma anche dalla polizia. La Georgia è il decimo Stato ad approvare una tale legge, dopo Texas, Colorado, Idaho, Kansas, Mississippi, Utah, Wisconsin, Oregon e Arkansas. Sono state molte negli anni le stragi nelle scuole e nelle università statunitensi, la più celebre nel 1999 in Colorado, quando due studenti uccisero nel liceo di Colombine 12 allievi e due insegnanti. L’ultima in ordine di tempo il 1° ottobre 2015, in Oregon: nove morti in un campus a Roseburg. Francesca Sabatinelli ha intervistato Francesco Vignarca, coordinatore di Controll-Armi, la Rete italiana per il disarmo:

 

R. – Purtroppo, queste sono tutte le strategie delle lobby armiere, e in particolare la NRA (National Rifle Association) negli Stati Uniti che, sempre di più, vogliono far passare il messaggio che si è più sicuri girando con le armi. Noi ovviamente diciamo il contrario. Purtroppo, la legislazione, la cultura, l’impostazione anche del dibattito politico negli Stati Uniti, favoriscono sempre di più questo tipo di approcci. Anche il cambio di amministrazione andrà sempre di più a rafforzare tutti coloro che vorranno continuare a far diffondere il fatto di portare armi anche nei luoghi come le università, che non dovrebbero certamente essere un luogo in cui si spara o si circola tranquillamente con pistole e fucili.

D. – La cronaca infatti, nel corso degli anni, ci ha sempre aggiornati circa tragedie legate all’ingresso delle armi nelle scuole, nei campus universitari. Le stime in vostro possesso cosa denunciano?

R. – Sono stime allucinanti. Davvero è un altro mondo rispetto a quello che siamo abituati a vedere in Europa. Se facciamo un confronto dei primi 100 giorni dell’anno, dal 2014 al 2017, nel 2014 ci sono stati circa 3000 morti, nel 2017 se ne sono contati 4000, quindi un aumento del 30 percento e una crescita che continua, dai 3000 del 2014 ai 3400 del 2015, 3600 del 2016 fino a superare i 4000 morti nei primi 100 giorni di un anno. Riteniamo che tutte queste scelte, tutte queste decisioni legislative che favoriscono il fatto di condurre e di portare in giro armi, stanno solo facilitando questa dinamica, questo trend in crescita, che ovviamente è spaventoso.

D. – 4000 morti sono un numero enorme, ma le vittime chi sono?

R. – È tristemente interessante vedere che purtroppo, dei 4000 morti dei primi 100 giorni dell’anno, quasi 1000, quindi un quarto, sono bambini, ragazzi, sotto i 17 anni. E addirittura ce ne sono anche molti tra gli 0 e gli 11 anni. Il punto è questo, ed è la preoccupazione anche della notizia riguardante l’università: sempre di più la lobby delle armi negli Usa spinge affinché non solo nelle università, ma addirittura nelle scuole superiori, ci sia la possibilità di avere delle zone in cui c’è libertà di portare, nascoste o meno, delle armi. Invece le statistiche, che dimostrano come, davvero, un alto numero di vittime siano bambini o ragazzi e adolescenti, dovrebbero quantomeno far fermare gli statunitensi. Perché oltretutto da questa statistica, che dimostra l’alta incidenza per adolescenti e bambini di morti e ferimenti di arma da fuoco, si vede che non siamo di fronte a guerre tra bande, criminali, o ad un mero risultato di un’azione di contrasto della polizia, perché se muoiono i bambini sicuramente non stiamo parlando di criminali.

D. – Negli Stati Uniti incombe una cultura della giustizia “fai da te”: è vostro timore, possa arrivare anche in Italia?

R. – Parto dicendo che ovviamente siamo su due pianeti completamente diversi e non si può assolutamente affermare che in Italia ci sia giustizia “fai da te” o armi libere. Il problema è che nella cultura attuale in Italia, anche grazie purtroppo ad alcune campagne politiche spregiudicate, secondo noi davvero preoccupanti, un po’ il dubbio che la giustizia “fai da te”, e quindi la possibilità di portare armi sia il modo migliore per difendersi, inizia a instillarsi, ed è problematico perché in realtà noi vediamo che dove c’è controllo della diffusione di armi, dove c’è un controllo dello Stato e non giustizia privata, personale, c’è una minore incidenza di questi problemi. Quindi, la preoccupazione che vediamo in Italia non è di una situazione ovviamente già oggi problematica, ma di una tendenza che lo potrebbe diventare. Tra l’altro, tutta questa preoccupazione e questo discorso sulla legittima difesa, va in controtendenza rispetto ai dati stessi dei crimini, perché nel 2016-2017 abbiamo visto una diminuzione dei crimini rispetto agli anni precedenti. Il problema in Italia è che non c’è una lobby armiera che punta a un proprio ritorno diretto in termini di fatturato da contrastare, ma un diffuso senso di insicurezza che alcuni cavalcano per motivi personali, di supporto e di popolarità politica e che però non ci sembra assolutamente la maniera adatta, più sensata e intelligente, di rispondere a un problema di insicurezza che magari c’è ma che non è legato soprattutto alla criminalità ma alle condizioni di vita che si sono deteriorate.