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Scaccia il bombardiere

Anno nuovo, spinta nuova… per promuovere il libro sui caccia F-35 appena uscito per Round Robin! E’ per questo che mi fa piacere riproporre anche qui una mia intervista rilasciata a Stefano Milani, editor della casa editrice che mi ha chiesto di scrivere “F-35 l’aereo più pazzo del mondo”, nei primi giorni di lancio del libro. Buona lettura… (corredata da una video intervista)

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Ma che davvero? No dai, non puoi essere. No no, non dire stupidate… Se un marziano capitasse oggi in questo nostro Belpaese e ascoltasse la storia degli F-35, la sua reazione sarebbe più o meno questa. Perché nell’Italia della crisi, della disoccupazione giovanile al 42%, delle fabbriche che chiudono, della povertà che avanza, della quarta settimana che è diventata terza tendente alla seconda… Insomma nell’Italia della canna del gas, noi che facciamo: mettiamo da parte quattordici miliardi (q-u-a-t-t-o-r-d-i-c-i-m-i-l-i-a-r-d-i) di euro per comprare 90 (n-o-v-a-n-t-a) esemplari di cacciabombardieri d’attacco. Francesco Vignarca ha seguito tutta questa intricata e paradossale vicenda fin dalle origini e tuttora spende gran parte del suo tempo a sensibilizzare l’opinione pubblica con la sua associazione, Rete Disarmo, su questa folle e inutile spesa. E nero su bianco smaschera tutte le balle che girano intorno a questo velivolo da guerra, partendo dalla fabbrica di Cameri, in provincia di Novara, dove gli F-35 vengono assemblati. Per buona pace del marziano.

F-35 perché è diventato l’aereo più pazzo del mondo? È vero che agli elevati costi di produzione si affianca anche una scarsa affidabilità del veicolo?

Il caccia F-35 è l’aereo più pazzo del mondo certamente per i costi, ma anche per le problematiche tecniche del velivolo. È però opportuno sottolineare come tutto questo derivi da un “peccato” ancora più fondamentale: quello legato al tipo di programma di produzione d’armamento scelto e all’evoluzione dello stesso.

Con la cosiddetta “concurrency”, che comporta la produzione degli aerei prima ancora di avere terminato le fasi preliminari di sviluppo, è quasi automatico che si verifichi un aumento del prezzo, un aumento nei tempi, un aumento delle problematiche che si devono affrontare nel corso delle fasi di sviluppo e produzione. Immettiamo questa condizione nel programma militare più costoso della storia, in generale e non parliamo di soli aerei, e otteniamo la dinamica dirompente e ha portato alla situazione attuale.

Nel libro si parte dal particolare (lo stabilimento di Cameri) per parlare poi del generale (la genesi del programma F-35), come mai questa scelta?

Il libro è stato concepito non volendo essere una “scheda tecnica” completa, e magari anche pesante alla lettura, sul programma degli F-35. L’intenzione era invece soprattutto quella di far capire a chi vuole affrontare il tema a partire da considerazioni obiettive l’impatto che questa scelta di spesa militare ha sull’Italia e in particolare sul territorio italiano maggiormente coinvolto, quello di Cameri. Anche le Campagne, come “Taglia le ali alle armi”, che si oppongono all’acquisto italiano degli F-35 hanno sempre visto questo progetto per un aereo da guerra come un simbolo dell’inutile e poco controllato budget per gli armamenti e delle scelte opache che sono ad esso legate.

In Italia se chiedi alla famosa casalinga di Voghera cosa sono gli F-35, probabilmente ti risponde con giuste motivazioni. Come sono riusciti, questi cacciabombardieri, a diventare il simbolo negativo dello sperpero di denaro pubblico in un Paese come il nostro che non ha mai alzato troppo la voce sulle spese militari?

FrancescoVIGNARCAGli F-35 sono diventati simbolo delle spese militari inutili ed improduttive non certamente solo per merito delle campagne disarmiste, che comunque sono riuscite ad alzare il tiro e loro livello di impatto rispetto a quanto succedeva in precedenza. Un mix di molte condizioni favorevoli, prima tra tutte la crisi economica che ha posto sotto una lente di ingrandimento forte la spesa pubblica nel suo complesso, hanno garantito il successo del movimento anti-caccia e soprattutto hanno permesso agli F-35 di “bucare lo schermo” e di approdare sulle prime pagine dei principali giornali. Cosa che non era mai successa con nessun altro programma militare e molto di rado succede (o succedeva) per quanto riguarda le spese della Difesa. Siamo quindi di fronte a una situazione da valorizzare in questo senso e, come detto nella risposta precedente, non certo solo per il caso F-35. Per cogliere questa occasione è stato poi necessario e funzionale anche il tipo di approccio critico al programma di questo caccia, basato sicuramente sulla scelta di fondo disarmista ma che viene poi sostanziato in dati, documenti, considerazioni analitiche inoppugnabili e molto concrete. Così come abbiamo cercato di fare in questo libro.

Nel libro viene sottolineato come il no agli F-35 attraversi tutta la società. Dai pacifisti ad alcuni militari, dagli amministratori locali alla gente della strada, da molti esponenti di sinistra ad alcuni di destra. Un comune sentire che però non muove le coscienze di chi ci governa. Quali sono gli interessi che girano dietro questo aereo da guerra?

In generale gli interessi che girano attorno a tutte le spese militari vanno a toccare una fascia di politici, di militari, di imprenditori e funzionari di aziende (soprattutto di Stato) che cercano di ottenere e mantenere da questo comparto privilegi propri e situazioni di potere. Lo abbiamo descritto anche un precedente libro: le armi sono davvero un “affare di Stato”. Per ribaltare questa situazione non basta quindi la mobilitazione, o il diffondere notizie che prima erano in una certa misura nascoste, ma occorre cercare di ampliare il consenso verso strade alternative alla spesa militare. Mostrando che l’interesse maggiore deve essere davvero quello di tutti e che altre strade, oltre ad essere possibili, vanno sicuramente in misura maggiore a vantaggio del paese perché possiedono un impatto positivo sulla maggioranza di cittadini e cittadine di questo paese.

C’è un bellissimo spot della campagna Rete Disarmo che gira sul web in cui un F-35 sfreccia sui binari di una stazione ferroviaria al posto di un treno regionale. Con 14 miliardi di euro investiti su questi cacciabombardieri quanti altri servizi rischiano di restare senza ossigeno?

I confronti tra questo investimento, non solo quello per i caccia F-35 ma anche tutto il resto della spesa militare, con interventi possibili a livello di welfare e di salute, oltre che istruzione, sono davvero impietosi. Certo l’F-35 non può diventare il jolly per mettere una pezza a tutti i mali e tutte le carenze di fondi pubblici, come invece in maniera errata alcuni gruppi hanno fatto nei momenti più visibili della campagna, ma può diventare – ancora una volta – il simbolo di scelte possibili in altro senso. Perché come detto non dobbiamo limitarci ai soli F-35: moltissime altre sono le scelte armate e militari dell’Italia che potrebbero trasformarsi in fondi e progetti per le scuole, per i giovani, per il lavoro. Molti di questi esempi, utilizzati anche come strumento di campagna sulla falsariga del video appena lanciato, sono stati elencati e dettagliati nei materiali elaborati in questi anni da “Taglia le ali alle armi”. In generale è una cosa utile soprattutto quando subito dopo questo primo approccio (molto incisivo) si riesce ad andare più in profondità sulla questione; in questo senso penso soprattutto alla’iniziativa in corso ormai da 15 anni della “Contro finanziaria” elaborata dalla Campagna Sbilanciamoci, uno dei promotori della mobilitazione contro i caccia. Perché davvero un’altra spesa pubblica è possibile e una parte consistente di questa, sia in termini ideali che in termini di cifre, può venire delle spese militari.

Ci ricordi cosa recita l’articolo 11 della nostra Costituzione e perché viene continuamente disatteso?

L’articolo 11 della nostra Costituzione evidenzia il ripudio della guerra che la generazione uscita proprio dal secondo conflitto mondiale aveva ben chiaro ed ha voluto lasciare ai posteri, a noi. “Ripudiare” è un verbo molto forte, perché non si limita a dire che la guerra è una mera scelta secondaria negli scontri, ma la si vuole lasciare proprio fuori dall’idea stessa di risoluzione dei problemi a livello internazionale. In questo senso il dettato costituzionale fa il paio con la frase dell’Enciclica “Pacem in terris” di Papa Giovanni XXIII, e quest’anno ne ricorrono i cinquant’anni, che descrive la guerra come qualcosa di “alienum a ratione” cioè proprio fuori di testa. Eppure l’articolo 11 viene quotidianamente disatteso, magari richiamandone come giustificazione la seconda parte in cui si dice che l’Italia consente (ma sono in accordo con gli altri Stati!) alle limitazioni di sovranità necessarie in casi di conflitto. Il problema è che la spesa militare quotidiana, vera e propria preparazione alla guerra, disattende ogni giorno l’idea messa sulla Carta fondamentale della nostra Repubblica. Credo che sia stata una situazione di non esplicitazione comoda per molta parte della politica nostrana, ed anche per i cittadini italiani che lo hanno permesso soprattutto dimenticandosi di costruire un’alternativa anche a partire dall’articolo 52. In quell’articolo si dice che è “sacro dovere” del cittadino difendere la patria e non abbiamo colto l’opportunità di una leva per scardinare una condizione acquisita dando per scontato che la difesa della patria sia solamente di natura militare. In realtà oggi, ma vale anche per ieri e i Costituenti lo avevano bene in mente, la vita delle persone di questo paese è difesa molto di più da interventi e politiche di welfare, da politiche di inclusione, da politiche di miglioramento della condizione sociale e di uguaglianza economica e di cittadinanza delle persone. Ricordiamocelo come stella polare nella scelta di altre forme di spesa dei nostri soldi pubblici che non siano vetusti (nel concetto) ed inutili (nella pratica) cacciabombardieri.