Se alcuni organismi pacifisti cristiani lanciano l’idea delle “Fedi disarmate”, il piano “ReArm Europe” e la Nato incitano gli Stati a aumentare la spesa militare. Su Riforma una mia intervista, a cura di Claudio Geymonat
“Fedi Disarmate” è un percorso spirituale interreligioso che chiede il disarmo globale. Iniziato lo scorso 9 maggio nella Chiesa metodista di via XX Settembre a Roma, è stato promosso dalla Commissione globalizzazione e ambiente (Glam) della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), dal Centro interconfessionale per la pace (Cipax) e vede inoltre la collaborazione del coordinamento delle Ambasciatrici e degli Ambasciatori di pace dell’Unione cristiana evangelica battista d’Italia (Ucebi).
Si tratta dell’ultima di una serie di prese di posizione, riflessioni e appelli che le chiese evangeliche italiane hanno prodotto negli ultimi anni di fronte alle tante guerre che sconvolgono e interrogano il nostro oggi.
Il mondo, o meglio le decisioni di chi si trova nelle stanze dei bottoni, vanno tutte in un’altra direzione. La corsa verso un generico concetto di riarmo ha subito una accelerazione gigantesca negli ultimi mesi. Prima il piano “ReArm Europe”, inquietante fin dal nome, con centinaia e centinaia di miliardi da investire per barricare la fortezza del Vecchio Continente; e ora l’accordo stipulato dalle nazioni della Nato che prevede un aumento delle spese militari fino all’astronomico obiettivo del 5% del Pil di ogni Paese. Per la cronaca l’Italia non ha ancora raggiunto il precedente limite del 2% fissato nel 2014. Ora, come spiega l’Osservatorio sulle spese militari italiane Milex, il governo «dovrà reperire ogni anno per dieci anni in manovra nuove risorse finanziarie nell’ordine dei 6-7 miliardi di Euro».
Per Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della Rete italiana Pace e Disarmo, nata nel 2020 dalla confluenza di due organismi storici del movimento pacifista italiano: la Rete della Pace e la Rete italiana per il Disarmo, «serve intanto fare chiarezza. Quelle della Nato sono prese di posizione politiche che non vincolano i Parlamenti nazionali, come l’Italia dimostra per prima nel non aver raggiunto gli obiettivi di spesa prefissati. Però è chiaro che questa spinta serve a giustificare gli ingenti aumenti di investimenti in ambito militare che comunque saranno attuati, e serve a creare un clima di generica insicurezza. Manca inoltre ogni progettualità, ogni idea di cooperazione fra Stati in materia: una cialtroneria che rende evidente che l’obiettivo non è migliorare l’efficienza militare, ma spendere a più non posso per garantire le enormi commesse per l’industria bellica. Stupisce come non ci sia stato, se non dalla Spagna, un tentativo di fermare questa tendenza assolutamente squilibrata».
C’è poi ovviamente il gigantesco tema di come finanziare tali scelte politiche: «per mettere dei soldi in più nelle spese militari ci sono tre vie – prosegue Vignarca –: aumentare il debito pubblico, aumentare le tasse, tagliare da altre parti. Per l’Italia aumentare il debito è impossibile, ci è vietato, aumentare le tasse è impopolare perché la gente se ne accorge prima rispetto all’ultima voce, i tagli delle cifre destinate al welfare, all’istruzione, alla tutela dell’ambiente. È uno sconforto perché per decenni ci è stato ripetuto a ogni occasione che i soldi non crescono sugli alberi, che non ci sono denari per finanziare ospedali, scuole e via dicendo. Ora in un istante si dice di poter reperire cifre iperboliche».
Secondo Vignarca siamo addirittura oltre: «parliamo di cifre talmente ingenti che riteniamo che verranno toccati anche investimenti industriali, economici, infrastrutturali con un concreto rischio di generale impoverimento del sistema-paese, oltre che dei cittadini che vedranno erodere servizi e saranno costretti a rivolgersi al settore privato».
Eppure, i sondaggi indicano chiaramente che gli italiani la guerra la vorrebbero vedere solo al cinema: «si tratta dell’ennesimo episodio di gap di democrazia, di scollamento fra politica e realtà. Che si traduce nella crescita di sfiducia nei confronti delle istituzioni». Non si ferma la mobilitazione: La Rete italiana Pace a Disarmo, cui aderisce anche la Commissione Globalizzazione e Ambiente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, ha lanciato la campagna “Basta favore ai mercanti di armi” con l’invito ad aderire alla petizione e a diffonderla.