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Per le aziende di armi il 2024 è l’anno record

IL RAPPORTO Sipri: produttori Usa in testa, ma è l’Ue a crescere di più. Un mio commento per il Manifesto, a partire dai nuovi dati della “Top100” dell’Industria militare diffusi dall’Istituto di Ricerca svedese.

Di certo non stupisce, considerata la congiuntura internazionale che stiamo vivendo e analizzando gli indicatori sul continuo aumento delle spese militari, ma è comunque importante evidenziare come anche l’ultimo rapporto del Sipri di Stoccolma (quello annualmente dedicato alla “salute” dell’industria militare) dipinga il quadro desolante di un mondo sempre più militarizzato. I ricavi delle prime 100 aziende produttrici di armi sono infatti state stimate per il 2024 alla cifra record di 679 miliardi di dollari: una conseguenza diretta delle scelte dei Governi di modernizzazione dei propri arsenali come elemento centrale, in un contesto di crisi sempre più diffusa, del rafforzamento dei propri apparati militari.

Rispetto all’anno precedente, il totale del fatturato ha registrato un aumento del 5,9%: le aziende a produzione militare statunitensi hanno mantenuto una posizione dominante, con una crescita del 3,8% e un totale di ricavi di ben 334 miliardi di dollari. Ma è l’Europa ad aver sperimentato l’incremento più significativo, con 26 aziende presenti in lista capaci di aumentare il fatturato del 13%, per complessivi 151 miliardi di dollari.

Per quanto riguarda gli affari di casa nostra, il fatturato delle due aziende italiane presenti nella Top 100 equivale a 16,8 miliardi di dollari, con un aumento del 9,1% rispetto all’anno precedente. Leonardo (al 12° posto e seconda azienda europea produttrice di armi nella dopo Bae Systems) ha aumentato di un decimo il proprio fatturato armato, che supera il 72% del proprio totale, arrivando a 13,8 miliardi di dollari. Più distante Fincantieri (53esima) con poco meno di 3 miliardi di fatturato militare (il 34% del suo totale), comunque in crescita del 4,5% rispetto al 2023.

Più o meno allo stesso livello della produzione armata tricolore anche quella israeliana: il fatturato totale delle tre aziende presenti in lista è aumentato del 16% raggiungendo i 16,2 miliardi di dollari, sia a causa delle operazioni militari in corso a Gaza sia per l’elevata domanda globale di attrezzature militari israeliane (in particolare nel settore dei sistemi “senza pilota”). La produzione armata di Tel Aviv ha trascinato il trend in crescita di tutto il Medio Oriente (tra le aree più calde del globo) se si considera che i ricavi derivanti dalle vendite di armi delle otto aziende mediorientali per le quali sono disponibili dati coerenti sono cresciuti di ben il 14% tra il 2023 e il 2024.

Anche l’altro attuale confitto che coinvolge su vasta scala eserciti vede i suoi effetti nei dati appena pubblicati: la produzione di armi russe è rimasta ad alti livelli anche nel 2024, a più di due anni dall’invasione  dell’Ucraina, soprattutto in settori come munizioni, veicoli blindati, artiglieria, missili e veicoli aerei senza pilota (Uav). Le due aziende russe segnalate hanno aumentato i ricavi del 23% fino a raggiungere i 31,2 miliardi di dollari. Al contrario, l’Asia-Oceania ha registrato un calo dell’1,2%, in gran parte dovuto al calo del 10% registrato dalle aziende cinesi a causa di scandali di corruzione e ritardi nei contratti.

Tuttavia, dietro questo boom si nasconde una contraddizione: la spesa militare è in forte aumento, ma la capacità industriale reale, soprattutto in Europa, rimane fragile e disomogenea. Dimostrando come anche dal punto di vista prettamente “armato” (tralasciando le considerazioni sulla sicurezza umana e sul fatto che evitare guerre e corsa agli armamenti sia sempre la scelta migliore) tutto questo fiume di soldi non può portare ad alcun miglioramento della sicurezza. I governi europei continuano a rilanciare la retorica della “autonomia strategica” per giustificare gli aumenti delle spese militari ma la stessa analisi del Sipri evidenzia persistenti debolezze strutturali.

Decenni di de-industrializzazione, povertà di materie prime e catene di approvvigionamento frammentate – oltre che scelte di comodo fatte per favorire guadagni e profitti di pochi, non asset strategici pubblici – hanno ridotto le reali capacità produttive. Gli ordini si accumulano, facendo volare le quotazioni azionarie e la speculazione, ma le aziende sono in ritardo sulle produzioni. Arrivando a un  paradosso  sorprendente: i profitti record dei produttori di armi coesistono con l’incapacità strutturale di sostenere un aumento della produzione a lungo termine. Ma ciò non ferma i benefici per quel complesso militare- industriale-finanziario i cui interessi (sempre, e in particolare in questa fase) sono divergenti da quelli dei cittadini.

Due ulteriori considerazioni sono importanti. Questi preoccupanti dati Sipri sull’aumento dei fatturati militari sono comunque precedenti ai piani di riarmo europeo lanciati da Von der Leyen a inizio 2025 e i cui effetti (dunque con aumenti ancora maggiori) si vedranno solo nei prossimi anni. Ciò che invece si sta vedendo fin da ora è il travasamento dei soldi pubblici negli interessi “privati” dei colossi bellici, perché l’aumento repentino della spesa militare trova per forza un primo sbocco soprattutto nell’acquisto di armamenti: dieci anni fa erano il 22,5% del totale, nel 2024 poco meno del 25%. Ulteriore conferma che ad aumentare non è la sicurezza globale ma gli affari dei “signori delle guerre”.