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In primis, fermare il conflitto

Mia intervista per Fuori binario (a cura di Felice Simeone): “Dividere il mondo in buoni e cattivi non serve a salvare vite umane”

Le bombe continuano a cadere mentre sembrano in stallo i negoziati tra Russia e Ucraina. Cosa possono fare i pacifisti?

Oggi si chiedono misure rapide, urgenti, e indolori per fermare il conflitto in Ucraina, ma ciò non è possibile finché il cannone tuona. Non si può costruire la pace a conflitto in corso. Dopo sì. La prima urgenza è quindi fermare i conflitti, tutti: in Ucraina certo, ma anche in Siria, Libia, Yemen. Costruire la pace che non è solo assenza di guerra, ma il pieno godimento dei diritti da parte di chiunque, il superamento delle disuguaglianze, la sconfitta della povertà non può prescindere dal contrasto all’esportazione di armi, dal monitoraggio della proliferazione di armi di distruzione di massa, dalla denuncia degli investimenti in armamenti. 

Quali sono gli ostacoli? 

La pace ha bisogno di una manutenzione continua. Nessuno ascolta il pacifista quando è il tempo di farlo. Ci si rivolge a loro come al medico quando arriva un tumore, dopo che per anni ti ha detto di non fumare. Prima della guerra abbiamo evidenziato una serie di criticità sulle relazioni tra Russia e Ucraina, compresa la denuncia delle pratiche antidemocratiche di Putin, ma siamo passati per idealisti fuori dalla realtà. Anche chi è disposto ad ascoltarci lo fa solo dopo lo scoppio della guerra. Chi sostiene il riarmo ha sempre strumenti di pressione più efficaci, perché tocca profitti e interessi immediati, mentre la costruzione della pace richiede preparazione e studio di lungo termine. 

È partita una corsa al riarmo generalizzata, prima la Germania, poi anche l’Italia. Ci attendono nuove guerre? 

Più che le scelte dei singoli paesi è il mercato finanziario globale a rilevarne la tendenza. Le aziende produttrici di armi europee e statunitensi hanno visto aumentare il valore delle proprie azioni nell’immediato pre guerra. Questo è un dato significativo perché rivela che gli investitori hanno scommesso, e continuano a farlo, sull’aumento del fatturato legato un aumento degli investimenti militari e in armamenti. Si stornano così risorse ad altre priorità, come la lotta alla fame, alle disuguaglianze, alla povertà, che però sono esse stesse cause di conflitti e guerre, e, di fatto, chiudono a qualsiasi altra alternativa politica e culturale. 

L’Europa per 80 anni ha creduto di aver esorcizzato la guerra…

È impressionante come abbia stanziato nel giro di pochi giorni centinaia di milioni di euro per armare l’Ucraina. Quella stessa Europa che si riarma contro i suoi stessi principi ispiratori che per decenni hanno garantito la pace. In pochi mesi è stato stracciato un trattato internazionale sul commercio di armi che proibiva esplicitamente l’invio di armi in zone di guerra. E nonostante le spese militari siamo aumentate del 90% negli ultimi 20 anni oggi registriamo l’ennesima guerra combattuta nel nostro continente. Un altro fallimento delle politiche di sicurezza incentrate sul securitarismo quando ne servirebbe una sociale, basata sui bisogni delle persone. 

Le istanze nonviolente sono rappresentate nelle istituzioni?

Non sempre, solo su specifici punti e molto meno che nel passato. Nella scorsa legislatura avevamo raccolto le firme di una settantina di deputati a favore della legge sulla difesa civile nonviolenta, ma nessuno dei firmatari è stato poi rieletto. C’è anche in questo campo un problema di selezione della classe politica. Chi sostiene il riarmo riesce a far carriera; chi promuove politiche alternative, anche timide, è tenuto fuori dalla decisioni. 

Come far tornare la nonviolenza e il contrasto al riarmo al centro del dibattito? 

Noi siamo più bravi adesso che 20 anni fa. Sappiamo fare proposte concrete, campagne accurate. Non ci limitiamo a fare manifestazioni. Abbiamo bloccato per la prima volta in trent’anni 12.500 bombe destinate all’Arabia Saudita che sarebbero state usate in Yemen; abbiamo promosso un trattato internazionale contro le armi nucleari, e, in Italia, una legge contro il finanziamento delle bombe a grappolo. Queste campagne non hanno generato però una cultura della pace, credo anche per il deterioramento del livello di sensibilità e attenzione della società civile. 

Neanche l’informazione aiuta.

La stampa non ha esitato ad indossare l’elmetto e tutto pare permesso: paragoni storici senza fondamento; analogie infantili per spiegare realtà estremamente complesse. Al lettore viene chiesto di schierarsi acriticamente, come tifosi, con uno o l’altro dei contendenti. Putin è un criminale? Si, certo, lo abbiamo già detto vent’anni fa quando tutti hanno iniziato a farci affari. Ma non è dividendo il mondo in buoni e cattivi che salveremo vite umane. 

Un auspicio per il futuro? 

Che il conflitto non si allarghi e non si arrivi alla guerra nucleare. È un rischio reale che va scongiurato.