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Liberalizzare le armi non porta maggiore sicurezza

Mio editoriale per “Riforma”

La diffusione delle armi da fuoco – e così il loro uso – è un tema che nel nostro Paese rimane spesso sottotraccia e non viene affrontato con la dovuta chiarezza. Nelle ultime settimane la questione è tornata sotto i riflettori (in parte per mera «polemica» politica), dopo il Decreto con il quale il Governo guidato da Conte ha recepito la Direttiva europeavolta alla limitazione della diffusione di certi tipi di armi. Al di là dello scontro politico e dei dettagli tecnici di tale recepimento è necessario sottolineare quanto questo passaggio sia emblematico perché evidenzia una tendenza preoccupante, e in un certo senso inedita, in Italia: la volontà di difendersi da soli e con una pistola in mano.

Se ciò accadrà in misura devastante nel prossimo futuro non dipenderà dalle specifiche norme appena entrate in vigore (che non modificano di molto la situazione, semmai cercano di depotenziare le intenzioni stringenti della Commissione Europea) ma dall’aver ignorato il significato profondo di quello che a mio parere è un cambio di direzione rilevante.

Le attuali regole italiane in materia di possesso e uso di armi da fuoco sono indubbiamente tra le più stringenti dell’intero Occidente,e capaci di garantire un buon controllo della diffusione di armamenti e un contenimento significativo dell’impatto sulle vittime (non a caso derivano dall’esperienza dei decenni di flagello mafioso e terrorista in Italia), ma le «tendenze» vanno in tutt’altra direzione. Si assiste oggi a un mutamento di percezioni, di pericoli e di paure che per un numero crescente di persone sembrerebbero essere scongiurabili solo attraverso l’uso delle armi.

L’utilizzo di armi in un Paese come il nostro a storica maggioranza cristiana è sempre stato al limite tollerato per l’attività della caccia o per le attività sportive. Oggi invece, nonostante l’evidente riduzione degli omicidi annui, che da oltre 1000 all’anno sono scesi a meno di 400, si pretende l’accesso facilitato alle armi e il loro uso sia per la difesa personale sia dei patrimoni. L’obiettivo sembra dunque essere chiaro, giungere a una liberalizzazione delle armi che passi attraverso la cosiddetta legittima difesa.

Una liberalizzazione che, tuttavia e concretamente, non potrà garantire maggiore sicurezza. Al contrario diverse analisi sottolineano come la diffusione di armi crei più pericoli, sia perché spinge i criminali a essere più efferati e letali, sia perché pistole e fucili sono strumenti non facili da maneggiare tecnicamente.

Eppure alcune organizzazioni «pro-armi» stanno evocando un «diritto culturale» alla detenzione e uso di armi, cercando una legittimazione giuridica a partire dalle paure percepite dalla gente.

Come sottolineato dal Censis: «I rischi che una proliferazione delle armi porti ad un aumento dei morti è reale: basti pensare a quanto accade in America […] dove nel 2016 sono avvenuti 14.415 omicidi volontari con arma da fuoco, pari a 4,5 ogni 100.000 abitanti, contro i 150 avvenuti in Italia, dove le leggi sono più restrittive, pari a 0,2 per 100.000 residenti. […] Con il cambio delle regole e un allentamento delle prescrizioni, ci dovremmo abituare ad avere tassi di omicidi volontari con l’utilizzo di armi da fuoco più alti […] le vittime da arma da fuoco potrebbero salire fino a 2.700 ogni anno, contro le 150 attuali, per un totale di 2.550 morti in più».

Numeri che spaventano. Ancor più spaventa la pervicacia di chi sta spingendo per andare in tale direzione nonostante le evidenze trascinando e convincendo persone che sino a pochi anni fa non avrebbero nemmeno immaginato di dirigersi verso il «desiderio» della «pistola facile». Questo slittamento sarebbe necessario arginare, anche utilizzando dati e considerazioni approfondite.

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