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Nucleare, bando alle armi

Il libro. Francesco Vignarca presenta il suo ultimo libro/appello sul disarmo. Una intervista di Michele Luppi per il Settimanale della Diocesi di Como.

“Disarmo nucleare. È ora di mettere al bando le armi nucleari. Prima che sia troppo tardi”. È questo il titolo dell’ultimo libro (edito da Altreconomia, 192 pagine 16 euro) di Francesco Vignarca, comasco, coordinatore delle Campagne della Rete Italiana Pace e Disarmo. Una pubblicazione che arriva in concomitanza con l’uscita nelle sale di una pellicola – il film biografico “Oppenheimer” di Christopher Nolan – che raccontando le vicende umane e professionali dello scienziato americano “padre dell’atomica” ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica il tema degli armamenti nucleari, già sollecitata dalla minaccia di utilizzo di armamenti nucleari più volta evocata dalla Russia nel corso degli ultimi diciotto mesi.

Vignarca, la pubblicazione del libro in concomitanza con l’uscita del film di Nolan è certamente una bella coincidenza. È stata una scelta voluta?

«Per la verità questo libro è in gestazione da tempo e doveva già uscire nell’autunno dello scorso anno perché nasce sulla scia della campagna “Italia Ripensaci” che ha l’obiettivo di convincere il nostro Parlamento a ratificare il Trattato per la proibizione delle armi nucleari (TPNW), adottato da una conferenza delle Nazioni Unite il 7 luglio 2017. Ad oggi il trattato, che impegna a non possedere sul proprio territorio nazionale armi nucleari (proprie o di altri Paesi) è stato firmato da 92 Paesi e ratificato da 68. Il libro ricostruisce l’evoluzione delle armi nucleari, con numeri aggiornati delle testate, i loro depositi in Europa, il pericolo della “teoria della deterrenza”, come funziona il “bottone rosso” e l’impatto devastante di una guerra nucleare. E racconta la storia e le prospettive del disarmo nucleare, in particolare in Italia».

Un libro che contiene anche interventi di altri esperti o leader…


«Abbiamo provato a raccogliere le voci dei principali esponenti del movimento per la messa al bando delle armi nucleari come Setsuko Thurlow, Beatrice Fihn, Tim Wright, Susi Snyder, Lisa Clark, Daniele Santi, Ray Acheson. Una voce importante è anche quella di papa Francesco di cui pubblichiamo due interventi. Pochi lo sanno, ma la Santa Sede è stato il primo Paese al mondo a ratificare il trattato nel 2017 e in quell’occasione il Papa ha cambiato la dottrina sociale cattolica in riferimento alle armi nucleari: se prima era considerato immorale il loro utilizzo oggi lo è anche il semplice fatto di possederle».

L’uscita del film “Oppenheimer” ha riacceso i riflettori sul tema e sulle questioni etiche connesse all’utilizzo di questi armamenti. Che idea ti sei fatto?

«Premetto che ogni occasione ci aiuti ad attirare l’attenzione su questi temi è ben accetta. Il film è molto bello e contiene davvero molti temi. Forse manca qualcosa come una reale presa di coscienza dell’impatto sulle popolazioni: non solo su quelle colpite a Hiroshima e Nagasaki ma anche nei Paesi in cui le armi sono state testate. In questo senso credo che il libro si ponga in una complementarietà rispetto al film. Perché se il film si concentra sull’inizio dell’epopea delle armi nucleari, noi né vorremmo raccontare la fine».

A che punto è il trattato sulla proliferazione delle armi nucleari?

«Il Trattato sta continuando il suo percorso: al 4 settembre era stato firmato da 92 Paesi e ratificato da 68. Sono una bella porzione del mondo, anche se non ci sono le grandi potenze. Ad oggi i Paesi con armi nucleari sono nove: Stati Uniti d’America, Russia, Regno Unito, Francia, Cina, India, Pakistan, Corea del Nord e Israele. Poi ci sono i Paesi come l’Italia che ospitano testate altrui, nel nostro caso americane, nei siti di Aviano e Ghedi. Diciamo che il TPNW si pone in continuità con il Trattato di non proliferazione che, negli anni ’70, ha di fatto impedito che le armi nucleari si diffondessero in molti altri Paesi. L’Italia al momento ha scelto di non aderire perché questo significherebbe chiedere agli Stati Uniti di sgomberare le testate nucleari da Aviano e Ghedi».

Pensa vi possa essere un cambio di prospettiva in futuro?

«Lo speriamo, ma per il momento ci accontenteremmo di un dibattito serio sul tema. Purtroppo, invece, quando si parla di armamenti, non solo nucleari, è difficile avere un dibattito serio. Questo lo si è visto in maniera evidente con la guerra ucraina. Anche di fronte ad un rischio reale di utilizzo di armi nucleari non si è riusciti a parlarne affrontando la complessità della questione e spesso sono stati chiamati a rappresentare il movimento per il disarmo personaggi improponibili che con questa campagna non c’entrano niente»

Come uscirne?

«Siamo consapevoli di come il cambiamento possa avvenire solo da una presa di coscienza collettiva che tocchi aspetti culturali, economici, religiosi, politici. È un cammino lungo, ma crediamo inevitabile. Il potenziale distruttivo delle armi nucleari è tale per cui non possiamo non provarci. Pochi lo sanno ma negli ultimi decenni in diverse occasioni – anche a seguito di semplici incidenti – siamo arrivati ad un passo da veri e propri disastri nucleari. Siamo sicuri di voler continuare a correre il rischio?»