home Parole e notizie Perché le armi nucleari non sono una garanzia di pace: “Sono una minaccia tipica del metodo mafioso”

Perché le armi nucleari non sono una garanzia di pace: “Sono una minaccia tipica del metodo mafioso”

“La guerra in Ucraina ha reso evidente una cosa che noi diciamo da tempo. Cioè che le armi nucleari non sono una garanzia di pace, ma servono solo al potere. Un potere costruito da politiche di minacce atomiche secondo cui, per la propria sicurezza, è giusto cancellare delle città e compiere dei genocidi in pochi secondi”: lo dice Francesco Vignarca, della Rete italiana pace e disarmo, in un’intervista con Fanpage.it nella Giornata internazionale contro le armi nucleari.

Sono passati ormai dieci anni da quanto l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione per istituire una Giornata internazionale contro le armi nucleari. Dal 2013 sono cambiate molte cose, nel bene e nel male. È stato approvato un Trattato, ratificato da moltissimi Paesi, per la messa al bando delle testate atomiche. Allo stesso tempo, però, è anche scoppiata una guerra sul suolo europeo che ha mostrato tutte le debolezze della teoria della deterrenza. Cioè di quella teoria per cui l’esistenza stessa dell’arma nucleare – e la consapevolezza della devastazione che questa porta con sé – avrebbe dovuto prevenire qualsiasi conflitto. Non solo così non è stato: oggi la minaccia atomica è più reale che mai.

Secondo Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne di Rete italiana pace e disarmo, il possesso di armi atomiche da parte degli Stati non ha nulla a che vedere con la deterrenza. Ma porterebbe invece con sé una implicita minaccia di utilizzo. Una minaccia che nel suo ultimo libro “Disarmo nucleare. È ora di mettere al bando le armi nucleari, prima che sia troppo tardi” viene descritta come “tipica del metodo mafioso”.

Le armi nucleari non sono una garanzia di pace
“La guerra in Ucraina ha reso evidente una cosa che noi diciamo da tempo. Cioè che le armi nucleari non sono una garanzia di pace. È vero che durante la Guerra Fredda non è mai scoppiato il conflitto diretto tra i due blocchi – Russia e Stati Uniti – ma comunque sono state combattute le proxy wars. Le armi nucleari non hanno garantito la pace: hanno garantito che non ci fosse la distruzione, che però è una minaccia che deriva da loro stesse”, ha detto Vignarca in un’intervista con Fanpage.it.

Per poi sottolineare come la situazione geopolitica sia mutata profondamente dai tempi della Guerra Fredda. Se in quegli anni l’assetto globale poteva essere definito attraverso i due blocchi, che a livello di forza e capacità militare erano pressoché equivalenti, oggi le cose sono cambiate. E appare evidente come le armi nucleari, invece di assicurare che non scoppi mai il conflitto, siano sintomo di instabilità. Se il Trattato di non proliferazione era riuscito a mettere un freno alla corsa all’armamento nucleare, oggi abbiamo comunque diversi Paesi che cercano di sviluppare armi atomiche – l’Iran o l’Arabia Saudita, ad esempio – rendendo il mondo potenzialmente più instabile.

Tutte le volte in cui è stato sfiorato l’incidente nucleare
Il proliferare delle armi nucleari rende inoltre incredibilmente più probabile che si verifichi un incidente. Il quale, vista la materia trattata, avrebbe conseguenze devastanti. Negli ultimi ottant’anni, in realtà, l’incidente nucleare è stato sfiorato più volte, portandoci pericolosamente vicini alla distruzione. Nel suo libro Vignarca scrive:

Dal 1950 si sono verificati 32 incidenti con armi nucleari, noti come Broken arrows: con questo termine si intende un evento improvviso che coinvolge le armi nucleari e che comporta il lancio, lo sparo, la detonazione, il furto o la perdita accidentale dell’arma. A oggi, sei armi nucleari sono state disperse e mai recuperate.
Uno di questi incidenti sfiorati si verificò proprio il 26 settembre di quarant’anni fa. Nel 1983 il tenente colonnello sovietico Stanislav Petrov si trovava al comando del sistema antimissilistico di una base poco lontano da Mosca quando il sistema satellitare di prima allerta lanciò l’allarme. Secondo il protocollo Petrov avrebbe dovuto rispondere lanciando immediatamente un contrattacco missilistico nucleare contro gli Stati Uniti, ma decise di temporeggiare, convinto dell’impossibilità che Washington attaccasse con soli cinque missili, come stava registrando il sistema.

Un rischio che non possiamo permetterci
Quella fu una decisione che evitò centinaia di migliaia di morti: il sistema aveva infatti diramato un falso allarme. Non è stato l’unico caso nella storia recente: nel suo libro Vignarca ricorda anche come il lancio di un satellite meteorologico norvegese venne erroneamente scambiato per un attacco nucleare o come delle esercitazioni furono prese per un attacco a tutti gli effeti. Non solo: viene citato uno studio del think tank britannico Chatham House, secondo cui tra il 1962 e il 2002 si sarebbe verificato un incidente di “quasi uso del nucleare” ogni tre anni.

“Nel 2007 delle testate nucleari sono state per sbaglio spostate da una base del Nord Dakota ad un’altra in Louisiana”, ha proseguito Vignarca ai microfoni di Fanpage.it. Il riferimento è all’incidente (classificato come Bent Spear, cioè che non comporterebbe l’immediata minaccia di guerra nucleare) avvenuto tra il 29 e il 30 agosto del 2007, quando sei missili dotati di testata nucleare furono erroneamente caricati su dei bombardieri della US Air Force e trasportati in un’altra base, senza le precauzioni di sicurezza che richiederebbero armi di questo tipo. “Per circa un giorno e mezzo dei bombardieri con sopra delle testate nucleari sono stati lasciati sulla pista senza alcun controllo. E tutto questo non è nemmeno considerato un incidente di livello uno”, ha sottolineato Vignarca.

E ancora: “Diverse ricerche dimostrano che oggi come oggi il rischio maggiore di guerra nucleare non sarebbe dovuto alla decisione di politici che consapevolmente decidono di usarla, ma piuttosto ad hackeraggio, cattiva gestione degli arsenali, errore… Non ci possiamo permettere un rischio del genere su un’arma così devastante”.

L’effetto devastante dei test nucleari
C’è un altro punto da sottolineare. Quando si parla della devastazione dovuta alle armi nucleari, non si parla solo di quella seguita ai bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki nell’agosto del 1945 o a quella potenziale che verrebbe innescata da una guerra nucleare in futuro. Anche i test che hanno portato diversi Paesi a sviluppare l’arma nucleare hanno avuto conseguenze terribili. Oltre ai cinque membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu (USA, Russia, Francia, Regno Unito e Cina), anche India, Pakistan, Israele e Corea del Nord hanno testato con successo la bomba nucleare. Non solo: altri Paesi hanno ottenuto l’arma atomica in passato, come il Sudafrica, per poi smantellare gli arsenali a disposizione.

“Inizialmente militari e scienziati non avevano capito che l’arma nucleare fosse qualcosa di diverso. Ma pensavano solo che fosse più potente. Solo dopo si resero conto che oltre a un tema di quantità ce ne fosse anche uno di qualità, dovuto alle radiazioni”, ha spiegato Vignarca, sottolineando che durante i primi test nucleari (a partire da Trinity in New Mexico, nel luglio del 1945) le persone fossero fatte evacuare solo nel raggio di poche decine di chilometri. “Gli studi hanno poi mostrato che le radiazioni sono finite in tutti gli Stati Uniti continentali, fino al Canada e al Messico. Quando ci sono stati i primi test nel Pacifico, come quello di Castel Bravo, non ci si preoccupava delle isole vicine e della ricaduta di materiale radioattivo”, ha detto Vignarca.

Le persone che hanno subito l’impatto dei test nucleari – dalle malattie di generazione in generazione alle malformazioni dovute alle radiazioni – potrebbero essere fino a milioni in tutto il mondo. “Se per garantire la pace ci sono questi effetti, anche se le armi atomiche non vengono usate, di che pace stiamo parlando? Questo dimostra che le bombe nucleari non servono alla pace, ma al potere, al predominio di un Paese sugli altri”, ha ribadito Vignarca.

Da che parte sta l’Italia
Anche se l’Italia ha rinunciato a sviluppare un proprio programma nucleare, oggi ospita sul suo territorio – presso le basi di Aviano e Ghedi – delle testate atomiche statunitensi. Così facendo, ha sottolineato Vignarca, anche il nostro Paese mantiene in piedi “un sistema di minaccia nucleare che ci rende complici di politiche di difesa secondo cui, per la propria sicurezza, è giusto cancellare delle città e fare dei genocidi”.

E ancora: “Siamo disposti a mettere da parte il nostro sistema di valori e di diritto. Le bombe nucleari non hanno nulla a che vedere con la guerra fatta secondo la Convenzione di Ginevra, che imporrebbe di discriminare tra chi combatte e chi no, ad esempio, e di mantenere sempre la possibilità dopo un attacco di soccorrere i feriti. Con le armi nucleari tutto questo non è possibile”.

La via del disarmo
Di fronte a tutto questo, ha aggiunto Vignarca, la via del disarmo è obbligata. Per intraprenderla è anche necessario un cambiamento culturale, un’opera di consapevolezza collettiva che ci porti a considerare le armi nucleari per quello che sono.

Se sapessimo che nelle basi italiani fossero custodite armi che la storia europea ha messo al bando, come le mine anti uomo, come reagiremmo? Se sapessimo che i nostri governi spendono centinaia e centinai di migliaia di euro all’anno in armi chimiche, ce ne staremmo fermi a guardare?

“Siamo riusciti a fare in modo che l’Italia positivamente intraprendesse quei percorsi. Abbiamo distrutto prima di molti altri i nostri stock di mine e di cluster. Questo è accaduto perché la popolazione, da un punto di vista umano, ha preso posizione. Dobbiamo riuscire a creare la consapevolezza di cosa sono le armi nucleari, di quanto sono orripilanti. E la gente si renderà conto di non volerle”, ha concluso Vignarca.

La lettera al governo: “Italia ripensaci”
Oggi, nella Giornata internazionale contro le armi nucleari, la Rete italiana pace e disarmo, insieme alla campagna Senzatomica, ha inviato una lettera al governo italiano, chiedendo che l’Italia partecipi come Paese osservatore alla seconda Conferenza del Trattato per la proibizione delle armi nucleari (TPNW), che si terrà a New York questo autunno. La missiva è stata inviata a Giorgia Meloni e ai ministri di Esteri e Difesa, Antonio Tajani e Guido Crosetto: si sottolinea come il TPNW – che l’Italia non ha mai ratificato, come il resto dei Paesi Nato – sia “una concreta speranza di metterci alle spalle l’incubo del nucleare”, soprattutto adesso, in un momento storico in cui “il pericolo di una guerra nucleare è diventato ancora più tangibile a causa della illegale e criminale invasione russa dell’Ucraina”.

Infine, nella lettera, si chiede un incontro al governo per “poter dialogare insieme sulle strade da intraprendere per realizzare un mondo libero da armi nucleari”, mettendo a disposizione le competenze della campagna “Italia ripensaci” per sostenerlo “nel prendere una posizione di pace e speranza nel complesso contesto geopolitico in cui si presentano le armi nucleari”.