home Eventi e presentazioni Disarmo nucleare, una sfida da vincere prima che sia tardi

Disarmo nucleare, una sfida da vincere prima che sia tardi

Letture contro la guerra. Mercoledì il libro di Vignarca al centro dell’incontro della Fondazione Serughetti La Porta

Secondo incontro mercoledì con «A che punto è la notte? Letture contro la guerra». Al centro dell’appuntamento organizzato dalla Fondazione Serughetti La Porta alle 17,30 in viale Papa Giovanni XXIII, 30, a Bergamo, il libro «Disarmo nucleare. È l’ora di mettere al bando le armi nucleari, prima che sia troppo tardi» di Francesco Vignarca. A dialogare con l’autore sarà Paolo Vitali.

«Mai come oggi il mondo si è avvicinato a una catastrofe nucleare – affermano gli organizzatori –: ecco perché bisogna smantellare gli arsenali nucleari. Le recenti crisi internazionali hanno riportato sotto gli occhi di tutti i rischi dell’utilizzo di armi nucleari: una “minaccia esistenziale”, una escalation che potrebbe portare alla distruzione quasi completa dell’umanità. Il pericolo derivante dagli arsenali dei Paesi che possiedono testate nucleari ha origine dalla Guerra Fredda ed è ancora concreto». 

Il libro ricostruisce l’evoluzione delle armi nucleari, con numeri aggiornati delle testate, i loro depositi in Europa, il pericolo della «teoria della deterrenza», come funziona il «bottone rosso» e l’impatto devastante di una guerra nucleare. E racconta la storia e le prospettive del disarmo nucleare, in particolare con le campagne «Ican» e «Italia, ripensaci». 

Francesco Vignarca è il Coordinatore delle Campagne della Rete Italiana Pace e Disarmo, partner della International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (Premio Nobel per la Pace 2017) e promotrice insieme a «Senzatomica» della mobilitazione «Italia, ripensaci» per l’adesione del nostro Paese al Trattato di proibizione delle armi nucleari Tpnw. L’autore, che si occupa da oltre 15 anni di produzione e commercio di armi, di spese militari e di acquisizione di sistemi d’arma, ha seguito fin dai primordi la campagna «Ican», partecipando anche ai negoziati per il Tpnw e il 7 luglio 2017 al Palazzo di Vetro dell’Onu a New York alla storica sessione che lo ha votato e adottato. 

«Il pacifismo italiano – scrive in un suo articolo – è stato storicamente molto forte dal punto di vista politico ed etico per varie ragioni, ma rispetto alle realtà internazionali soprattutto del Nord Europa e statunitensi aveva un po’ un deficit di approccio e di contenuto: semplificando molto ci bastava dire “vogliamo la pace, la guerra è brutta” e poi ci si fermava lì. Se vogliamo davvero fare dei passi avanti dobbiamo cercare un approccio più scientifico al pacifismo ed entrare nel dettaglio delle questioni. Per questo nel corso di questi anni con la Rete Pace e Disarmo abbiamo cercato di approfondire alcune analisi: ad esempio abbiamo fondato Milex, un osservatorio sulle spese militari italiane per cercare di valutare quale sia il loro impatto sull’economia. È chiaro che io parto da una prospettiva nonviolenta in senso politico, secondo la tradizione gandhiana e capitiniana, ma se vogliamo veramente costruire una società nonviolenta e disarmata dobbiamo farlo per gradi, non possiamo pensare che domani schiocchiamo le dita e le armi spariscono. È fondamentale quindi capire gli strumenti con cui oggi le guerre di fatto vengono combattute e la loro evoluzione, è necessario quindi analizzare le tecnologie che sono sempre state messe a servizio delle questioni politiche legate alla guerra». 

«Non abbiamo alcun bisogno dell’industria bellica sottolinea Vignarca perché le industrie militari si potrebbero riconvertire molto facilmente, saprebbero fare tranquillamente altro. L’industria militare italiana produce meno dell’1% del Pil, meno dello 0,7% dell’export e impiega meno dello 0,5% della forza lavoro, quindi è un’industria residuale dal punto di vista economico. Bisogna però che si facciano scelte politiche, che ci sia un cambiamento culturale. Oggi è necessario difendersi, ma quali sono le vere minacce alla sicurezza? Sono la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, i problemi idrogeologici, la crisi climatica. La crisi climatica farà più morti, più danni e creerà più conflitti di tutti gli autocrati pazzi o non pazzi che possiamo avere».