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Integrazione e promozione culturale

La diversità non è un limite, ma una risorsa. Di questo sono sempre stato convinto e ancora di più lo sono per tutte le mie vicende personali che mi hanno portato (in vari luogi e con vari ruoli) a toccare tutto questo da vicino.

A partire dalle differenze sociali e di provenienza, per arrivare a quelle determinate da disabilità o melattie. In tutto questo io vedo ora una debolezza della nostra società che potrebbe invece trasformarsi in una grande forza se le politiche e la politica fossero capaci di seguire un corso diverso, includente ed inclusivo. Senza ovviamente dimenticare la diversità per arrivare ad una falsa e dolorosa omologazione: è invece necessario fornire a ciascuno gli strumenti adatti per esprimere tutte le proprie potenzialità non dimenticando quando diceva don Lorenzo Milani “non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra persone disuguali”.

Come ricordano poi diversi documenti delle Nazioni Unite, il giungere ad una piena e feconda integrazione dipende dalla capacità delle comunità di costruire il migliore ambiente sociale, in particolare quello che circonda una persona con disabilità: in un mondo attento alle problematiche di tutti, nessuno è disabile. Così come nessuno è straniero, emarginato, povero, diverso,…

Su questi temi mi piace “fare mie” le parole scritte da un grande giornalista (Franco Bomprezzi, il cui blog trovate qui) che da sempre è in grado di cogliere al meglio “il punto” quando si parla di questi temi, e che proprio in vista del periodo elettorale ha scritto:

“Bisognerà ricominciare da capo, sapendo già in partenza che le competenze, le risorse, le scelte, le riforme che pure ci vorrebbero, saranno nelle mani di neofiti o di vecchi marpioni, ma nessuno ha la certezza che avremo a che fare con una classe dirigente adeguata alla necessità di autentica rifondazione politica e sociale, che la crisi nella quale siamo immersi richiederebbe come non mai.

Una nuova seria classificazione dell’invalidità, il ripensamento della legge sull’inserimento lavorativo (che è franato sotto i colpi della crisi), una nuova attenzione alla sostenibilità urbanistica e progettuale, che tenga conto del diritto di tutti alla mobilità e alla libera scelta della propria esistenza; il rilancio dell’inclusione scolastica, messa a dura prova dai tagli della spending review; la definizione di norme serie per i caregivers, parola inglese dietro la quale si cela la vita di familiari sospesi tra lavoro e cura domiciliare; il ripensamento della fornitura di ausili tecnologici in funzione della profonda modifica in atto nella produzione di software e di applicazioni per tutti; la promozione dello sport non solo agonistico; un adeguamento delle pensioni e delle indennità; la conclusione della vessatoria e infinitamente costosa campagna di controllo affidata all’Inps (quando le false invalidità, come si capisce dalle cronache, sono scovate da polizia e carabinieri)”.

Da un percorso ed una prospettiva di questo tipo nascono poi stimoli di lavoro anche su altri campi, tra i quali mi piace segnalare quello della ricerca (che avrebbe potuto diventare il mio lavoro) e della cultura. Temi che, ancora una volta, non devono essere considerati un peso, sia per le istituzioni che per i fondi pubblici, ma un vero e proprio tesoro capace di moltiplicare saperi e risorse. Una promozione culturale vera, a partire proprio dai territori, permetterebbe un riequilibrio sociale davvero positivo e non solo in termini di ricadute economiche ed occupazionali, ma soprattutto nel miglioramento della visione del futuro che oggi è particolarmente scaduta (a livelllo proprio di prospettiva generale) e lascia poche speranze alle generazioni future. Una visione che ci permetta di vedere nelle relazioni, nella condivisione, nella “convivialità delle differenze” un vero progresso… e non certo nel deturpamento ecologico ed ambientale del nostro mondo o nello sfruttamento reciproco per vuoti obiettivi di profitto.

 

 

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