home Parole e notizie “La pace non si costruisce preparando la guerra: no all’aumento delle spese militari”

“La pace non si costruisce preparando la guerra: no all’aumento delle spese militari”

Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne di Rete Pace Disarmo: “È vero quello che dice la NATO: la pace non è un dato di fatto, lo pensiamo anche noi pacifisti. Ma proprio per questo bisogna impegnarsi per costruirla. Se davvero si pensa che potrebbe esserci un conflitto con la Russia cosa aspettiamo a lavorare, tutti insieme, per evitarlo?”. Intervista per Fanpage

“Vivere in pace non è un dato di fatto. Ed è per questo che ci stiamo preparando per un conflitto con la Russia”, che potrebbe scoppiare entro “i prossimi 20 anni”. A dirlo, la scorsa settimana, l’ammiraglio Rob Bauer, presidente del Comitato militare dell’Alleanza Atlantica, secondo cui quello di una guerra totale contro Mosca non sarebbe più uno scenario irrealistico, bensì un’ipotesi concreta. “Dobbiamo essere più pronti”, ha detto non a caso Bauer. “Bisogna dotarci di un sistema per reperire più persone in caso di guerra”, ma anche rafforzare il complesso industriale militare per produrre sempre più munizioni e armamenti.

Non è un caso, del resto, che dall’inizio di febbraio alla fine di maggio circa 90mila uomini parteciperanno alla più grande esercitazione militare dalla fine della Guerra Fredda. Steadfast Defender – questo il nome dato all’operazione – prevederà imponenti manovre congiunte volte a scoraggiare una nuova eventuale aggressione russa in Europa orientale. La NATO mobiliterà circa 90mila soldati di 30 Paesi, impiegando 50 navi militari, 80 aerei e oltre 1.100 veicoli da combattimento. Steadfast Defender si estenderà dal Nord America al fianco orientale della NATO, vicino al confine russo.

Una guerra contro la Russia, tuttavia, vedrebbe scontrarsi le principali potenze nucleari del pianeta, una prospettiva che potrebbe avere conseguenze catastrofiche per l’intera umanità. A sottolinearlo, intervistato da Fanpage.it, Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne di Rete Pace Disarmo e autore del saggio “Disarmo Nucleare” (Altreconomia): “Siamo seduti sul cratere di un vulcano attivo. Nel mondo ci sono oltre 12mila testate nucleari, la metà delle quali sono attive. Anche l’Italia sarebbe un bersaglio perché ospita due basi con bombe atomiche statunitensi. È vero, la pace non è un dato d fatto. Ma va costruita con il dialogo, non preparando una nuova guerra”.


Secondo l’ammiraglio Rob Bauer, presidente del Comitato militare dell’Alleanza Atlantica, “dobbiamo renderci conto che vivere in pace non è un dato di fatto” e nei prossimi 20 anni potrebbe scoppiare una guerra con la Russia…

Le dichiarazioni di Bauer sembrano assurde ma in realtà hanno una loro logica, quella di continuare a sostenere scelte di preparazione a una guerra incrementando le spese militari. Affinché ciò accada la NATO deve evocare un nemico, come d’altro canto è successo altre volte dal duemila in poi dopo un decennio, quello degli anni ’90, in cui l’impegno per la costruzione della pace aveva prevalso, favorendo un’importante diminuzione delle spese militari. Certo, è vero quello che dice Bauer: la pace non è un dato di fatto, lo pensiamo anche noi pacifisti. Ma proprio per questo bisogna impegnarsi per costruirla. Se davvero si pensa che potrebbe esserci un conflitto con la Russia cosa aspettiamo a lavorare, tutti insieme, per evitarlo? Dobbiamo cercare altre strade, costruire un dialogo, non preparare una guerra. In fondo è quello che facciamo nella nostra vita ogni giorno: quando individuiamo una criticità ci impegniamo a risolverla. Questa sarebbe la decisione più logica e saggia. Ribadisco: la pace non è un fatto di fatto, dunque va costruita. E non si può costruire preparando una guerra, come suggerisce esplicitamente il presidente del Comitato militare NATO.

Una guerra mondiale sarebbe con ogni probabilità una guerra nucleare. Quante testate ci sono nel mondo? E dove sono custodite, anche in Italia?

Un’escalation bellica comporta anche uno scenario nucleare, e questo vale sia su scala limitata che su scala globale: basti pensare a quante volte la Russia ha evocato l’utilizzo di armi nucleari tattiche in Ucraina, o alle dichiarazioni di alcuni esponenti israeliani in merito alla Striscia di Gaza. Lo scenario atomico però andrebbe considerato anche in caso di una guerra mondiale. Insomma, dobbiamo essere consapevoli che siamo seduti sul cratere di un vulcano attivo. Nel mondo ci sono oltre 12mila testate nucleari, la metà delle quali sono attive. Anche l’Italia sarebbe un bersaglio perché ospita due basi con bombe atomiche statunitensi all’interno dei programmi di nuclear sharing. La situazione dunque è molto delicata ed è peggiorata negli ultimi anni: pensiamo alla Corea del Nord o al fatto che anche la Russia abbia intrapreso un programma di nuclear sharing con la Bielorussia. Tutte le simulazioni dimostrano che lo scoppio di una guerra nucleare causerebbe decine di milioni di morti subito e miliardi di vittime nel giro di 3/5 anni. L’Italia stessa verrebbe attaccata immediatamente. Non è un caso che proprio oggi sia stato aggiornato il Doomsday Clock, l’orologio dell’Apocalisse. Occorre che tutti i Paesi del mondo mettano al bando le armi atomi che e aderiscano al Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari.

Ieri è stato celebrato il terzo anniversario dell’entrata in vigore del Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW), la prima norma internazionale che dichiara illegali le armi nucleari. Qual è la posizione dell’Italia?

Su questo aspetto registriamo, tristemente, una posizione condivisa negli ultimi anni con tutti i governi: pur sostenendo, a parole, il disarmo nucleare il nostro Paese non si sta impegnando concretamente nel TPNW.

Perché questa ambiguità?

Perché il TPNW mette in discussione l’architettura di falsa sicurezza che è propria della NATO, che in sintesi sostiene di essere favorevole al disarmo nucleare, purché però a fare il primo passo siano i suoi nemici. È un peccato che l’Italia non abbia una posizione più coraggiosa. Serve un cambio di rotta: se l’Italia non è pronta a firmare subito il Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari si muova almeno per rinunciare al nuclear sharing e rimuovere le bombe atomiche americane sul proprio territorio.

Un ddl presentato dal Governo martedì scorso prevede la modifica della Legge 185/90. In che modo cambia questa norma e perché è una scelta pericolosa e antidemocratica?

Siamo davvero molto preoccupati per la china che sta prendendo la modifica della Legge 185/90 sull’esport degli armamenti. Da anni c’è un tentativo di erodere questa norma, ma adesso il livello si è alzato ulteriormente visto che da tempo gli ambienti dell’industria militare facevano pressioni per togliere quel minimo di trasparenza e controllo che ancora è nelle mani del Parlamento. Le motivazioni della lobby militare sono false: sostengono che i controlli bloccano il libero andamento del mercato rispetto alla concorrenza europea e che la Legge 185/90 mette i paletti alle esportazioni. Sono entrambe menzogne: l’export delle industrie belliche italiane è infatti in costante aumento e solo una volta, negli ultimi 30 anni, siamo riusciti a bloccare dei sistemi d’arma, ovvero le bombe vendute all’Arabia Saudita per colpire lo Yemen. Insomma, alle industrie militari il controllo democratico dà fastidio perché sanno benissimo che la stragrande maggioranza della popolazione italiana è contraria alle esportazioni di armi. Ripeto: quello che sta accadendo è molto preoccupante. Il governo – tra le altre cose – vuole cancellare la parte della Legge 185/90 che oggi prevede l’obbligo di relazionare al Parlamento, oltre al capitolo sulle cosiddette “banche armate” e sull’obiettivo di riconversione dell’industria bellica. Insomma, l’esecutivo vuole cancellare quei meccanismi di controllo democratico che favoriscono un’alternativa alla crescita dell’industria militare.

Nell’appello della NATO c’è un invito esplicito a potenziare l’industria bellica dei Paesi appartenenti all’Alleanza. Qual è lo stato di salute dell’industria militare italiana? E quanto si appresta a spendere nel 2024 l’Italia per esercito e armi?

Dietro la retorica della NATO sulla necessità di prepararci a una guerra con la Russia, e dietro le dichiarazioni di esponenti politici internazionali di primo piano, c’è un grande sostegno all’industria militare, che non a caso sta conoscendo una crescita significativa. Per quanto riguarda l’Italia a breve – come osservatorio Milex – diffonderemo un’analisi dettagliata, ma posso già fornire qualche dato: quest’anno siamo a oltre 28 miliardi di euro di spese militari, si tratta di una crescita robusta rispetto agli anni scorsi. Per la prima volta nel nostro Paese infatti si spenderanno più di 10 miliardi di euro in un anno, il 2024, per acquistare nuovi sistemi d’arma come aerei, carri armati, droni…: fino al 2019 quella cifra ammontava a 4,7 miliardi. Aggiungo un dettaglio: non è un caso che le recenti dichiarazioni di Rob Bauer sul rischio di una guerra con la Russia siano arrivate all’inizio di quest’anno. È un modo per costruire una narrazione emergenziale che faccia accettare alle opinioni pubbliche gli aumenti delle spese militari degli stati. Altrimenti qualcuno, come noi, potrebbe chiedere che quei soldi vengano spesi per costruire scuole e ospedali e per preparare la pace, anziché la guerra.