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«In Palestina due terzi delle vittime civili»

Il report “Explosive Weapons” sugli effetti dei bombardamenti: cresce ovunque il numero di morti non militari. Francesco Vignarca (Rete Pace Disarmo): da tempo lanciamo allarmi, ora i numeri confermano. Mia intervista per Avvenire (a cura di Elisa Campisi).

«Da tempo lanciamo l’allarme su come le armi esplosive vengono usate sempre più in contesti urbani, colpendo i civili. Purtroppo, ora i dati mostrano che avevamo ragione. Non solo queste armi uccidono e feriscono sempre di più, ma distruggono ospedali, scuole, infrastrutture, con danni sui civili che si riverberano per anni», così Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della Rete Pace e Disarmo, commenta i dati del nuovo “Explosive Weapons Monitor”, il rapporto promosso dall’International Network on Explosive Weapons (INEW), di cui anche la rete italiana fa parte. Dove ci sta portando la corsa al riarmo iniziata ben prima del piano Rearm Eu? L’aumento degli attacchi con armi esplosive alle infrastrutture civili e ai servizi essenziali, spiega Vignarca, mostra chiaramente una deriva pericolosa che con i maggiori investimenti militari non può che peggiorare. Nel 2024 l’uso di queste armi negli attacchi a strutture sanitarie è cresciuto infatti del 64% rispetto al 2023, facendo vittime anche tra gli operatori sanitari. Al contempo, il loro utilizzo in attacchi a strutture educative e di istruzione è più che raddoppiato. In generale, gli attacchi esplosivi hanno colpito civili e infrastrutture in 74 Paesi. Quasi due terzi delle vittime si sono registrate in Palestina, ma il documento segnala un incremento anche in altri scenari di guerra, come Libano, Myanmar, Siria e Ucraina: in questi Paesi le morti civili da ordigni esplosivi sono aumentate di oltre il 50%. Le conseguenze umanitarie delle maggiori spese in armamenti – insiste Vignarca – sono evidenti, ma «il problema è anche politico perché più si spende più inevitabilmente ne risentono i civili». Intanto, però, «si alimenta l’illusione che più armi significhi più sicurezza, mentre i numeri mostrano il contrario; negli ultimi decenni le spese militari sono aumentate eppure il numero dei conflitti e la loro intensità sono cresciuti». Così, dunque, «non si costruisce la pace come ci stanno raccontando, ma si preparano solo nuove guerre». Per l’esponente della rete pacifista, in particolare, non solo il Rearm Eu rischia di spostare fondi che potrebbero andare alla coesione e alla cooperazione, ma lancia un grande assist all’industria militare con conseguenze disastrose anche a lungo termine: «Le aziende che aumentano la produzione, prima o poi andranno a fare affari in altri Paesi, vendendo ed esportando. Ma le regole attuali impongono limiti, in base all’impatto sui diritti umani e i conflitti. Il rischio, quindi, è che si spinga per abbassare i controlli». Di fronte a un quadro così cupo, per Vignarca gli Stati dovrebbero piuttosto impegnarsi ad attuare le regole. Tra queste c’è appunto la Dichiarazione politica del 2022 sul rafforzamento della protezione dei civili dalle conseguenze umanitarie dell’uso di armi esplosive nelle aree popolate: «L’Italia è tra i Paesi che l’hanno trascritta, ma non basta, va implementata e applicata, invece di continuare a parlare di difesa per giustificare un riarmo che ci mette tutti ancora di più in pericolo».

Vignarca ricorda poi anche i dati del Sipri (istituto indipendente di Stoccolma di ricerche sulla pace), secondo i quali nel 2024 le spese militari a livello globale hanno raggiunto il nuovo record di 2.718 miliardi di dollari, con un aumento del 9,4% rispetto all’anno precedente: «In Europa l’aumento è del 17% ed è guidato dall’Europa occidentale, che ha visto crescere il proprio budget militare totale del 24%». A trainare questo incremento è la Germania, ma anche l’Italia nel 2024 ha speso l’1,4% in più. Il problema, secondo il portavoce della Rete, è anche culturale: « Bisogna smettere di dire che le questioni si risolvono con le armi e iniziare piuttosto a lavorare per un cessato il fuoco nelle guerre in corso, riducendo anche le spese militari per investire nelle strutture di pace. L’ha detto anche il Papa qualche giorno fa quando ci ha ricevuto, “se vuoi la pace prepara istituzioni di pace”». Eppure, negli ultimi anni – avverte infine – si sono già armate anche le parole, normalizzando discorsi fino a poco tempo fa impliciti che ora vengono rivendicati: «Si dice senza nasconderlo che quei soldi servono per le armi, fingendo che non ci siano alternative. Serve invece più diplomazia». In fondo, conclude, è quello che chiedono anche i cittadini: «Tutti i sondaggi mostrano che l’opinione pubblica continua a essere contro le spese militari, perché capisce che la strada del riamo è sbagliata. Capisco che non è facile prendere questa posizione pubblicamente, ma come è successo su altro, piano piano la verità viene fuori. E la forza della verità è il vero nome della nonviolenza».