home Parole e notizie Non solo talebani, a vincere è l’industria delle armi

Non solo talebani, a vincere è l’industria delle armi

La denuncia di Francesco Vignarca, Coordinatore Campagne della Rete Italiana Pace e Disarmo. Utili record per le cinque principali aziende americane.

Intervista per il Settimanale della Diocesi di Como

Ci vorranno anni per comprendere compiutamente la portata degli eventi che hanno coinvolto l’Afghanistan nelle ultime settimane. Nessuno può infatti oggi immaginare che piega prenderà il nuovo corso talebano, se i nuovi padroni di Kabul saranno in grado di controllare il Paese, su quali alleanze o connivenze internazionali potranno contare, su quali entrate economiche. Allo stesso modo è difficile immaginare quali potranno essere le ripercussioni internazionali sui Paesi che – occorre ammetterlo – escono sconfitti da questi 20 anni di “guerra al terrore”: gli Stati Uniti d’America in primis e a seguire i suoi alleati, Italia compresa. Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della Rete Italiana Pace e Disarmo e fondatore dell’Osservatorio Milex sulle spese militari italiane, ha però le idee molto chiare su chi esce vincitore da questi due decenni: indubbiamente i talebani, ma anche e soprattutto l’industria delle armi.

L’esperto lo spiega bene in due approfonditi podcast curati per la rivista on-line Qcode Mag e il sito della rivista Valori. Spiega Vignarca: «Complice la fine della Guerra fredda nel corso degli anni Novanta e fino all’inizio del nuovo millennio le spese militari globali avevano registrato un rallentamento attestandosi a 1044 miliardi di dollari all’anno. Con l’attentato alle Torri Gemelle e la conseguente “Guerra al terrore” che ha coinvolto prima l’Afghanistan e poi l’Iraq abbiamo assistito ad un vero e proprio boom che ha portato la spesa militare ad arrivare a 1960 miliardi di dollari all’anno (dato SIPRI 2020) di cui un quarto della spesa per nuovi armamenti e sistemi d’arma». Un aumento chiaramente non solo legato agli Usa (pensiamo alle crescenti spese cinesi o russe), ma è significativo come le cinque principali aziende americane del settore Boeing, Raytheon, Lockheed Martin, General Dynamics, Northrop Grumman – abbiano registrato tra il 2001 e il 2021 una crescita degli utili dell’872%. «Se una persona avesse investito in queste aziende 10 mila dollari nel 2001 – continua Vignarca – oggi si troverebbe in tasca 97 mila dollari. Un valore ben più alto rispetto a quanto lo stesso investitore avrebbe guadagnato se avesse scelto le aziende quotate nell’indice S&P 500: in quel caso avrebbe ottenuto un totale di “soli” 61mila dollari». Complessivamente la guerra in Afghanistan è costata agli Stati Uniti circa 2.300 miliardi di dollari, secondo la stima del Watson Institute della Brown University. Circa mille miliardi sono stati spesi per le operazioni di combattimento, 530 per il pagamento degli interessi dei debiti contratti per finanziare l’intervento militare, 443 miliardi è l’incremento del bilancio del dipartimento americano per la difesa per le attività legate alla guerra e quasi 300 miliardi sono la spesa per la cura dei veterani rientrati negli Stati Uniti. Il contingente americano presente in pianta stabile ha raggiunto il suo picco nel 2011, con 110mila soldati presenti, a cui vanno aggiunti i contractors privati e il personale di supporto. Per quanto riguarda l’Italia il costo della missione in questi 20 anni ha comportato l’esborso di 8,7 miliardi di euro dei quali ben 840 milioni relativi a contributi diretti alle Forze Armate afghane. Le stesse forze che si sono sciolte come neve al sole di fronte all’avanzata talebana lasciando armi e veicoli nelle mani dei nuovi arrivati.