Ucraina e Gaza, le guerre e i profitti record per le lobby delle armi. Vignarca: “Se c’è la pace l’industria militare non fa affari”. Di questo Tag24.it ha discusso con Francesco Vignarca, coordinatore nazionale della Rete Italiana per la Pace e il Disarmo.
Nel 2024 le guerre in Ucraina e a Gaza hanno fatto balzare alle stelle i fatturati delle aziende produttrici di armi. Un dato scontato, potrebbe osservare qualcuno. Tuttavia, occorre analizzare l’entità dell’aumento delle vendite per comprendere la reale portata della questione.
Secondo il nuovo rapporto dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), negli ultimi 12 mesi, il fatturato complessivo delle prime 100 aziende produttrici di armi ha raggiunto circa 589 miliardi di euro, segnando un incremento del 5,9% rispetto all’anno precedente.
Numeri che fanno riflettere per le tante implicazioni che possono nascondere.
Boom armi 2024, Vignarca: “A trainare il fatturato sono la guerra in Ucraina e a Gaza”
R: Era un aumento atteso per vari motivi. Contestualmente a questo aumento, infatti, c’è stato l’aumento delle spese militari globali. Ovviamente quando gli stati mettono sul piatto molti più soldi per gli eserciti in generale una grande fetta di questi soldi poi arriva direttamente nelle tasche dell’industria militare.
Questo secondo me è uno dei primi elementi da tenere in considerazione dei dati Sipri: non tanto il valore assoluto, quanto quello dei trend.
D: Ovvero?
R: Combinando i dati della spesa militare e i dati della Sipri top 100 sulle industrie militari vediamo che circa il 25% della spesa militare globale va a finire in armi. Era il 21-22% qualche anno fa. Cosa vuol dire? Vuol dire che la crescita di spesa militare si sta sempre di più trasformando in una crescita degli affari per l’industria militare.
A trainare questo tipo di fatturato sono la guerra in Ucraina e la guerra a Gaza, non solo perché sono conflitti di vasta scala, ma perché coinvolgono due dei principali produttori di armi al mondo, cioè la Russia e Israele che, non a caso, anche nei dati delle proprie aziende vedono un aumento.
Ucraina e Gaza, le guerre e i profitti record per le lobby delle armi. Vignarca: “Se c’è la pace l’industria militare non fa affari”
Più armi non significa più sicurezza, Vignarca: “Saranno tagliate altre spese”
D: Anche l’Italia si riarma, crede come accusa qualcuno che si stia anteponendo il business della guerra al bene comune?
R: I dati del Sipri – sia quelli di spesa militare sia quelli appena pubblicati – sono precedenti alle scelte di riarmo europeo perché riguardano il 2024. Mentre il piano ReArm Europe, poi ribattezzato Readiness 2030 è del marzo 2025, quindi e gli effetti si sentiranno tra qualche anno.
È incredibile, perché stiamo già vedendo un effetto in aumento, ma non stiamo ancora vedendo la totalità dell’aumento che ci sarà. Ovviamente per l’Italia questi aumenti delle spese militari significheranno il taglio ad altre forme di investimento o di spesa pubblica, perché l’Italia è già molto indebitata, quindi l’aumento della spesa militare significherà sicuramente tagli ad altri tipi di spesa. L’altra alternativa per non tagliare sarebbe aumentare le tasse.
D: Tutto questo si traduce in una maggiore sicurezza?
R: Queste scelte non ci metteranno in una condizione più sicura dal punto di vista militare perché l’aumento dei fatturati non corrisponde a un aumento della produzione. L’aumento di spesa ha visto un mondo sempre più armato, sempre più in guerra e più insicuro.
Contemporaneamente ci sarà una riduzione della sicurezza delle persone per quanto riguarda la propria salute, il proprio lavoro, l’ambiente in cui vive. Questi sono elementi da tenere in considerazione. A nostro parere stiamo già oggi mettendo in pericolo la vita di milioni di persone.
La corsa agli armamenti e il freno ai processi di pace
D: La corsa all’acquisto di armi mina gli sforzi per la pace globale?
R: Non c’è un interesse ad arrivare a una pace giusta e positiva per i popoli. Siamo di fronte a una vera e propria bolla, adesso siamo nella bolla della produzione militare.
Non è un caso che quando nei giorni scorsi è stato pubblicato il piano di Trump è scattato il panico tra gli investitori, perché questo ha subito fatto abbassare la capitalizzazione, perché se c’è la pace non c’è bisogno di comprare armi e di conseguenza l’industria militare non fa affari.