home Parole e notizie La bambola “Down” scatena il Web: cambiatele il nome

La bambola “Down” scatena il Web: cambiatele il nome

Venduta nei centri commerciali Toys con la scritta “Ho un prezzo speciale” ha sollevato molte polemiche. A partire da Iacopo Mielo, 23enne disabile e animatore della onlus ‪#vorreiprendereiltreno che spiega: «Io non sono la mia malattia»

Occhi allungati, dita dei piedi leggermente separate e lingua all’infuori. Una bambola per combattere i pregiudizi sulla disabilità e diffondere il rispetto delle diversità. Si chiama “Baby down” ed ha i tratti somatici di un bebè con sindrome di Down. Nata in Spagna nel 2009 dalla casa produttrice di giocattoli Super Juguete e della Fundacion Down Espana è adesso sbarcata anche in Italia grazie alla società Cangillo Interni e alla cooperativa sociale bolognese “Il Martin Pescatore”.

baby downL’idea è semplice: si importa si dà lavoro a persone con disturbi psichici (per cucire i vestiti ed occuparsi delle spedizioni) e con il ricavato delle vendite del bambolotto si sostengono le attività della coop e delle due associazioni di familiari di persone con disabilità genetica coinvolte nell’iniziativa.

Progetto lodevole (anche se i 990 pezzi ordinati sono stati smaltiti a fatica e con un ulteriore ribasso del prezzo), ma quando finisce nel centro commerciale Toys (venduta a 24 euro e 90 con tanto di biglietto in bella vista con scritto “Ho un prezzo speciale”) si scatena il dibattito. “La Bambola dello scandalo” suscita commenti, riflessioni e critiche. L’onda lunga parte dalla pagina Facebook di Iacopo Mielo, ragazzo disabile e animatore della onlus ‪ #vorreiprendereiltreno , nata per affrontare ogni genere possibile di barriera senza retorica né pietismi: da quella architettonica a quella culturale e sociale.

«Chiamare un gioco “Bambola Down”, è chiaro a tutti, non è una mossa di mercato proprio intelligente. Io non sono la mia malattia: non siamo diabetici, cardiopatici, ciechi o sordi. Siamo Paolo, Francesca, Luca e Ginevra. Siamo solari, lunatici, egoisti o stronzi. Quindi, il chiaro errore è quello comunicativo», spiega Iacopo Melio che aggiunge: «Dire di voler integrare le persone che hanno una certa disabilità partendo dal sottolineare in cosa consiste la loro disabilità, è sicuramente un passo falso. Odio nella maniera più assoluta le etichette. Combattere la disuguaglianza attraverso le classificazioni non è diverso dal voler portare la pace nel mondo con le armi».

Concetti che mettono in secondo piano la buona intenzione del progetto: nella confezione della bambola è inserito un opuscolo che contiene alcune semplici indicazioni sulle attività per stimolare le capacità sensoriali e intellettive dei bambini con sindrome di Down. I genitori potranno così orientare i propri bambini al rispetto e all’apprezzamento della diversità, insegnando loro a trattare tutti allo stesso modo supportati da una guida che è molto più che un semplice libretto delle istruzioni.

Così Iacopo Melio e la sua comunità lanciano una proposta: «Tutto va bene e tutto serve, purché lo si faccia senza pietismo e senza discriminazione implicita ma con spontaneità. Le parole sono importanti, e non saperle utilizzare distorce anche la più nobile delle intenzioni. Cara cooperativa la vostra idea mi piace: che ne dite di cambiare però il nome?».

A stretto giro arriva anche la risposta. «Il nome “Baby Down” è il nome scelto dall’azienda produttrice per il prodotto e noi ci siamo occupati solo della sua distribuzione e vendita» spiega Gianluca Rizzello della cooperativa Martin Pescatore: «Al di là del nome, siamo orgogliosi di aver fatto questa scelta perché crediamo che l’integrazione debba usare tutti i canali a disposizione con l’obiettivo fondamentale di raggiungere un pubblico più ampio possibile».

Anche CoorDown, il coordinamento nazionale associazioni delle persone con sindrome di Down ha preso posizione. «Non siamo sfavorevoli alla bambola Down verso la quale non esprimiamo nessuna posizione critica a priori ma al contrario un atteggiamento di apertura» spiega il presidente Sergio Silvestre. «Anche un giocattolo come questo infatti può rappresentare un utile strumento di sensibilizzazione, un modo per veicolare informazioni corrette sulla sindrome di Down e per costruire una reale cultura della diversità e dell’inclusione. Purché si evitino strumentalizzazioni e tutto questo non si trasformi in un’operazione commerciale fine a se stessa, senza una logica, senza contenuti e senza obiettivi».

Qualche dubbio sull’utilizzo del nome lo solleva Francesco Vignarca, padre di Matilde, una bimba con sindrome di Down: «Da un lato è utile che anche nel gioco ci possa essere la normalità e la disabilita. Anche noi a scuola con la nostra Matilde abbiamo spiegato la presenza di una triplicazione del cromosoma 21. Le parole però contano: con la Bambola Down connoti la persona integralmente con la sua disabilita, il rischio che si corre è che insieme ti porti dietro anche la discriminazione. Quello che vorremmo evitare».

di Michele Sasso