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Una valutazione dei rischi per bloccare l’invio di armi

Mio articolo per Avvenire sulle prospettive del Trattato ATT 

 

Inizia domani a Ginevra l’Ottava Conferenza degli Stati Parti del Trattato Att ( Arms Trade Treaty) che regola i trasferimenti internazionali di armi. Appuntamento rilevante, considerata la congiuntura di sicurezza, che non a caso vedrà l’intervento nella sessione di apertura della ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock (la Germania è presidente di turno della Conferenza) e di Peter Maurer, presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa.

L’Att è un Trattato fortemente voluto dalla società civile internazionale riunita nella campagna Control Arms e ottenuto grazie a una forte pressione dal basso: nel 2014 diventato la prima norma internazionale sui trasferimenti di armi. Oggi fanno parte del Trattato, avendolo ratificato, ben 111 Paesi: tutti gli Stati europei, gran parte dell’America Latina, il blocco degli Stati africani occidentali, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Canada e dal luglio 2020 anche Cina. Purtroppo mancano dalla lista sia Usa (che con Obama hanno solo firmato il Trattato, mai ratificato dal Senato) sia Russia, cioè i due principali esportatori di armi del mondo, responsabili secondo i dati Sipri di quasi il 60% delle vendite dell’ultimo quinquennio.

Un punto che verrà sicuramente toccato a Ginevra è quello dei flussi di armi verso l’Ucraina perché i criteri dell’Att (come le Convenzioni del Diritto Umanitario) segnalano come problematico e sbagliato l’invio di armi in zona di conflitto. Al di là dell’eclatante caso ucraino, la questione del commercio di armi tocca tutti i conflitti, anche e soprattutto quelli ignorati dalla maggioranza dei media e della politica occidentale; i flussi di armi preparano le guerre: chiudere un occhio per troppo tempo porta all’esplosione di situazioni che poi diventano ingestibili. Per questo è fondamentale che gli Stati si ricordino che i trasferimenti di armi non possono essere considerati mero ‘business’.

La Conferenza di quest’anno affronterà in particolare uno dei pericoli maggiormente segnalati, anche nel caso ucraino: la diversion (letteralmente dirottamento) delle armi rispetto ai percorsi autorizzati. Un evento che può avvenire in qualsiasi momento del ciclo di vita dell’arma e per cause logistiche, di furto, di corruzione. Il problema è che, una volta deviate dal loro «percorso autorizzato», le armi non scompaiono dalla scena ma finiscono ad armare movimenti terroristici, sostenere il crimine organizzato e possono facilitare violenze di ogni genere e senza confini. Non a caso la Campagna Control Arms continua a insistere sul concetto di «uso finale» delle armi: non basta solo considerare chi riceverà il materiale mi-litare, ma anche il previsto e concreto utilizzo dello stesso. Gli Stati aderenti al Trattato dovrebbero dunque considerare l’intero ciclo di vita delle armi e delle munizioni, soprattutto in situazione di conflitto. In che modo? Secondo i criteri Att tutti gli Stati devono condurre una valutazione del rischio prima di autorizzare o meno un trasferimento di armi.

L’invio di armi favorirà o minerà la pace e la sicurezza? Potrebbe essere usato per commettere o facilitare violazioni di diritti umani, atti di terrorismo, violenze di ogni genere? Se tali rischi risultassero troppo elevati, i Governi hanno l’obbligo di non autorizzare. È importante sottolineare la parola ‘rischio’, perché nelle regole condivise del Trattato è sufficiente solo quello e non serve una certezza incontrovertibile o che le violazioni siano già state commesse per bloccare una vendita di armi.

La ‘valutazione preventiva del rischio’ è la innovativa e positiva prospettiva scelta per favorire al massimo il vero obiettivo del percorso che ha portato al Trattato, cioè la protezione dei civili e delle comunità. Per questo è fondamentale un alto livello di trasparenza su autorizzazioni rilasciate e vendite effettuate. Anche in questo aspetto la società civile gioca un ruolo cruciale a livello sia internazionale (domani verrà diffusa la nuova edizione dell’Att Monitor) sia nazionale, diffondendo i dati sull’export militare italiano presenti nella Relazione al Parlamento prevista dalla Legge 185.