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“Costi, sicurezza e occupazione: tutti i limiti degli F35”

vignarca_armi.jpg_415368877Lo scontro verbale di qualche giorno fa, tra il fondatore di Emergency Gino Strada e Mario Mauro, l’ex ministro della Difesa del Governo Letta, nel corso della trasmissione di La7 Servizio Pubblico, ha rimesso in primo piano il Lockheed Martin F-35 Lightning II, i caccia multiruolo di 5ª generazione con caratteristiche stealth che l’aviazione italiana ritiene indispensabili, soprattutto ora che Barack Obama lo ha chiesto al premier Matteo Renzi, per presidiare militarmente il Mediterraneo. E non solo. Francesco Vignarca, coordinatore delle attività nazionali della Rete Italiana per il Disarmo, nel suo saggio edito dalla Round Robin, F-35, l’aereo più pazzo del mondo, confuta costo e utilità del caccia: “E’ il simbolo delle spese militari folli nel nostro Paese”, troppi ha detto a Tiscali il “disarmista”, “14 miliardi per comprare 90 cacciabombardieri d’attacco forse inutili”.
Perché un “disarmista” s’interessa di un aereo concepito per la guerra?
“Ho scelto di pubblicare il mio saggio, perché la crisi economica ha reso tutti più sensibili ai temi della Difesa, per chi ambisce come noi a ridurre la spesa per le armi la congiuntura potrebbe diventare una carta vincente: nel sondaggio mandato in onda in Otto e Mezzo, il programma di La7 condotto da Lilli Gruber, il 53% degli italiani, contro il 30%, si espresso contro l’acquisto del caccia”.
Chi vuole i caccia deve capire che non si possono acquistare armi senza tener conto dei costi, lasciando fare solo ai militari?
“La Difesa si è sempre attenuta, al contrario di altri paesi, ai costi resi pubblici dalla Lockheed Martin, che ancora sostiene che nel 2019 il costo di un aereo sarà di 80-85 milioni di dollari. Un teorema smentito dal bilancio Usa, che invece fa lievitare il prezzo a 140 milioni di dollari. La Lockheed, insomma, sta ancora pubblicizzando il costo “nudo” dell’aereo senza strutture, senza motore, senza armi, senza gestione. Come se le case costruttrici di auto pubblicizzassero il prezzo di una loro vettura facendo però pagare il volante o i freni con un assegno o una rata a parte”.
Lei ha fatto i conti, può sintetizzare quanto ha scritto nel suo libro?
“Novanta caccia ci potrebbero costare 10.8 miliardi di euro (di cui 4.3 per gli STOVL ad atterraggio verticale), che porta il totale, stime al 2013, a 14 miliardi di euro includendo anche i costi di sviluppo, con un costo medio per aereo di 120 milioni di euro senza considerare le eventuali esigenze di aggiornamento e sistemazione dei primi esemplari non ancora completi. C’è anche un altro problema: i tagli degli F35 da parte delle forze armate Usa faranno lievitare ovviamente i costi; e se l’Italia, per esempio, ridurrà da 90 a 45, il numero degli aerei da acquistare ci sarà un altro aumento rialzo, presumo del 2 – 3% (stime del Pentagono) ”.
C’è un problema di mazzette? 
“Non credo ci siano problemi di tangenti o mazzette. L’unico ragionamento valido, anche se non lo condivido, lo fa proprio l’aeronautica Militare, quando dice che all’Italia servono gli F35 perché sono i caccia migliori sul mercato. Il loro è un ragionamento lecito. Per quanto mi riguarda contesto le loro sicurezze: fonti della Difesa Usa, sostengono che il caccia migliore sia ancora l’F22, un aereo che per motivi di sicurezza nazionale non è commercializzato dagli Usa. Quindi, il caccia non garantisce la superiorità aerea esaltata dai generali italiani”.
Il Lodo Scanu li vorrebbe ridurre da 90 a 45, un brutto colpo per l’occupazione. Lei nel suo saggio ha contestato questa teoria. Perché? 
“Ritengo legittimo, anche se non lo approvo, il tentativo dell’aviazione di difendere gli F35, ritengo però insensata la posizione di chi asserisce che l’aereo deve essere acquistato perché altrimenti il nostro Paese perderebbe importanti ritorni occupazionali e di tecnologia. La verità è un’altra: all’interno dell’aereonautica è in corso una battaglia, sinora impari, tra i filo atlantici dell’ammiraglio ed ex ministro della Difesa del governo Monti, Giampaolo Di Paola, pro Lockheed sin dall’inizio, e chi sostiene l’opportunità della nascita di un esercito europeo. Per ora sta vincendo L’ammiraglio”.
Lei ha scritto che la fabbrica degli F35 di Cameri si rivelerà una bolla di sapone dal punto di vista occupazionale. Com’è arrivato a questa conclusione?
“I funzionari della Difesa, già nel 2007, quando è stato firmato il primo accordo, hanno sostenuto che la fabbrica di Cameri a regime darà lavoro a 10 mila persone. Se si studiano i dati, si scopre però che quell’asset non c’è: secondo stime sindacali gli occupati non potranno essere più di 1.500, se si tengono per buone le più ottimistiche previsioni di Finmeccanica, non si supereranno i 2.500. E non sono certi neanche i ritorni economici e tecnologici, perché i contratti non sono garantiti e perché la verniciatura che rende invisibili (Stealth) i caccia la conosceremo solo fra 10 20 anni, quando sarà obsoleta e inutile”.
Lei nel suo libro indirettamente accenna a un esercito europeo. Quale? 
“All’Italia serve un modello di Difesa vero: mi sta benissimo quello che dice il Ministro della Difesa, Roberta Pinotti, sulla necessità di approntare un libro bianco sull’argomento; spero non diventi solo un libro dei desiderata, ma sia, come in Francia, un documento base per le politiche di Difesa, infine, occorre premere per la nascita di un modello di Difesa Europeo: una stima dell’Istituto Affari Internazionali (IAI) dimostra che un esercito europeo potrebbe far risparmiare, mantenendo la stessa operabilità e performance di quello statunitense, complessivamente 100-120 miliardi l’anno. Un’occasione che non dobbiamo perdere”.