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Bisogna costruire una pace positiva

Non solo una semplice assenza di guerra, comunque fondamentale, ma una presenza completa e circolare dei diritti umani per tutti nel mondo. Sulla Via Maestra faremo la nostra parte

Il lavoro che le campagne, le organizzazioni, le iniziative della Rete Pace e Disarmo cercano di mettere in pratica ogni giorno si iscrive ormai saldamente nella prospettiva della “pace positiva”.  Si tratta non solo una semplice assenza di guerra, che comunque è fondamentale per poter garantire il diritto alla vita, ma una presenza completa, circolare, interdipendente dei diritti umani per tutti. Ciò significa mettere in pista dei processi creativi continuativi che possano migliorare la società, considerando e realizzando tutti i vari aspetti che riescono a promuovere il progresso sociale e la realizzazione personale. È per questo che la pace è una delle parole più importanti all’interno del quadro della nostra Costituzione, in quanto fornisce un senso a tutti gli altri elementi che in essa sono richiamati come fondamentali, e da essi trae una propria reale concretizzazione. È lo stesso quadro proposto dagli obiettivi di sviluppo sostenibili individuati a livello internazionale.

Da qui nasce la necessità di articolare campagne in cui l’elemento più specifico del disarmo si possa fondere con le questioni legate all’ambiente, al lavoro, all’istruzione, la sanità, alla cultura, al vivere sociale condiviso per sfociare in una vera politica nonviolenta. Che è il vero mezzo per realizzare la pace.

Senza una riduzione delle spese militari e una smilitarizzazione delle politiche estere (ma anche quelle interne, in alcuni casi) e delle scelte economiche non si potrà seguire la Via Maestra della Costituzione, che vede la pace come bene supremo. Senza un’attenzione all’ambiente e a come difendere le persone dalle reali minacce (cambiamento climatico, armi nucleari, mondo sempre più in confitto) con strumenti nonviolenti la situazione di disequilibrio globale e di guerra diffusa non potrà che acuirsi. Invece di arrivare a quello che aneliamo: una sicurezza condivisa e una salvaguardia dell’ecosistema.

Punto sempre più centrale e ormai evidenziato in maniera chiara: è ormai indispensabile e non più rinviabile una saldatura tra l’azione del movimento per la pace e quello ecologista, in una prospettiva che non si limiti ad una mera sommatoria di due questioni per motivi tattici, bensì di una reale integrazione delle opposizioni e delle proposizioni in chiave esplicitamente ecopacifista. Dobbiamo tener conto anche delle istanze etiche – oltre che politiche e socio-economiche – di chi ha da sempre inquadrato la proposta nonviolenta come alternativa alla violenza e allo sfruttamento sia dell’uomo sia dell’ambiente naturale. Se infatti sono molti i terreni su cui pacifisti ed ambientalisti possono e devono fare fronte comune (a partire dall’opposizione al nucleare civile e militare e alla devastante militarizzazione del suolo, dei mari, dell’aria e perfino dell’etere), ciò che dovrebbe accomunarli è soprattutto un gandhiano “programma costruttivo”, che si caratterizza nella proposta – e nell’attuazione dal basso – di modelli alternativi di produzione, di consumo, d’interazione uomo-natura e di difesa.

Su questa Via Maestra anche noi faremo la nostra parte, con azioni e campagne comuni, ma anche con sperimentazione di stili di vita che escludano al massimo la violenza, la sopraffazione e la predazione delle risorse, in vista di una convivenza pacifica e di ritmi vitali – per citare Alex Langer – “più lenti, più profondi e più dolci”.

 

Articolo pubblicato su Collettiva.it